Verso orizzonti senza confine: INTERVISTA A GRAZIANO CIACCHINI

 

In questa intervista cercheremo di conoscere meglio l’artista Graziano Ciacchini.

Le sue attività spaziano in vari ambiti espressivi anche se negli ultimi anni si è dedicato soprattutto alla pittura. Uno stile personalissimo contraddistingue il suo lavoro accompagnando l’osservatore in un viaggio esplorativo attraverso dimensioni oniriche e surreali.

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L’artista, toscano, si è fatto conoscere ed ha ottenuto visibilità e consenso anche nel panorama internazionale.

Le tele si aprono su spazi infiniti: un invito a lasciare la certezza di orizzonti conosciuti per viaggiare tra colori e forme dove la meraviglia della scoperta si cela dietro a ogni pennellata. Spazi di serena contemplazione dove il silenzio e la calma predispongono a ritrovare se stessi.

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La rarefatta atmosfera che caratterizza le opere di questo artista è in grado sia di infondere calma, serenità e pace ma anche di stimolare contemporaneamente l’osservatore a aprirsi su mondi nuovi dove la strada è appena accennata e tutto è ancora da scoprire.

Narrazioni fiabesche che nascondono la possibilità di molte varianti comprensibili sono dal nostro livello più profondo, oltre la coscienza, oltre l’io, oltre la cultura, da quel linguaggio comune che accomuna tutti gli uomini del mondo, universale, archetipico, fatto di simboli antichi e ancestrali.

Una bellezza che prende forma solo nel dinamismo dell’esplorazione, della sperimentazione e dell’ascolto  e mai in una staticità formale data una volta per tutte.

La ricerca artistica rende reale ciò che poteva sembrare irreale perchè ne varca il confine. Le narrazioni sono condotte con uno stile formale preciso, con sapiente uso del colore e della tecnica espressiva.

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Il lavoro di questo artista si connota  di una forte dimensione emozionale che conduce l’osservatore a riappropriarsi di un sentire sempre più minacciato da una quotidianità rumorosa e inconsapevole.

Scelte cromatiche che identificano uno stile originale dove l’osservatore è invitato a perdersi per poi ritrovarsi come al ritorno di un lungo cammino, mai uguale a come era partito.

L’artista fa parte dell’Associazione  Secondo Piano a Sinistra

https://it-it.facebook.com/secondopianoasinistra/.

Con altri artisti ha partecipato alla realizzazione di opere su due numeri della rivista Seconda Cronaca http://www.secondacronaca.it/tutti-i-numeri/http://www.melobox.it/la-citta-delle-storie-nascoste-pisa/

Per seguire  Ciacchini nelle sue svariate e interessanti attività o per contattarlo :

https://it-it.facebook.com/ciacco65/

grazianociacchini@gmail.com

 

Graziano Ciacchini
Graziano Ciacchini – foto di Ivo Almiramaro

 

 

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Quali artisti ti hanno ispirato di più durante la tua formazione?

Il mio percorso di avvicinamento all’arte ed in special modo alla pittura, è stato un raccogliere, dapprima quasi casuale e poi sempre più cosciente, di emozioni attraverso le immagini. Sono stato e sono visitatore di musei, di mostre e lettore di pubblicazioni  artistiche, in un crescendo di consapevolezza verso il bello che quel mondo che andavo esplorando sapeva trasmettere. Un percorso di conoscenza personale, se vogliamo, che è successivamente sfociato nel dipingere.

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Sono sempre stato attratto da quella pittura che attraverso l’immagine, volesse dire qualcosa, piuttosto che rappresentare qualcosa ed è probabilmente per questo motivo che la pittura ed i pittori che hanno lasciato un segno nella mia sfera emozionale, appartengano a scuole, correnti, fama ed epoche diverse. Quando penso ai singoli artisti, però, l’attenzione si concentra prevalentemente sul secolo scorso.

Il primo a venirmi in mente è sicuramente Edward Hopper che rappresenta il pensiero presente, l’intimità di uno stato d’animo, in delicati fermo immagine mentali, elementi  manifestati invece con una espressività ed una drammaticità laceranti da Lorenzo Viani, pittore del mondo degli ultimi. Amo anche Sironi, con le sue periferie silenziose e struggenti, De Chirico e le sue architetture, quinte di pensiero, e poi i volti e le atmosfere di George Tooker, i paesaggi di Carlo Carrà, fino ai Pittori del 900 Toscano, da Ottone Rosai a Baccio Maria Bacci (la solitudine hopperiana di “pomeriggio a Fiesole”) da Guido Ferroni a Ram.

Penso che sia stato il mio, un processo non esattamente consapevole, di interiorizzazione ed elaborazione dell’opera di questi ed altri pittori, processo che nel tempo, mi ha prima spinto verso il dipingere e poi mi ha consentito di far emergere il modo di comunicare che ancora oggi caratterizza i miei lavori.

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Nel tuo percorso hai attraversato diverse forme espressive, arrivando alla pittura attraverso la poesia. C’è una continuità in questo passaggio?

Secondo me la continuità è rappresentata dall’istanza di comunicare i temi che a me sono più cari, quelli legati, pur nei limiti personali, alla esplorazione del proprio essere, fino a sbattere nei propri confini, pur sapendo che oltre quei confini, esiste sicuramente un altrove da sperimentare e da viaggiare. Ecco che i versi od i colori, diventano semplicemente espressioni diverse della stesso stato d’animo. Negli ultimi anni la pittura ha comunque preso il sopravvento. Non so bene quale sia la ragione. Forse le parole, pur nella loro vastità di significato, circoscrivono, più delle immagini il concetto e lasciano meno libertà al lettore, rispetto a quella di chi, guardando una immagine, ha la facoltà di scegliere da solo le parole più adatte.

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Nelle tue opere gli edifici sono in primo piano e le figure umane sono un dettaglio secondario che appare come insignificante. Puoi dirci qualcosa di più in merito?

L’architettura è una mia passione da tantissimi anni. Amo le architetture rappresentate in pittura, specialmente quando riescono ad evocare qualcosa che vada al di là di una mera articolazione dello spazio, quinta di scene nelle quali i protagonisti siano gli uomini. Nel mio caso le architetture rappresentano qualcosa di vivo e pensante, che osserva, ed è osservato, dalle figure antropomorfe in veste blu e nera. Anche queste ultime potrebbero essere architetture di un concetto, anzi lo sono. Per me rappresentano il pensiero che ha pensato l’immagine, dentro l’immagine stessa, come una gita premio, come un abbonato in prima fila, ed invitano ed accompagnano l’osservatore nell’avventura della scoperta. Ho la pretesa di pensare che i miei lavori siano una piccola finestra aperta verso l’esplorazione del pensiero. Non so se ci riesco, ma è quello il mio intento.

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Che rapporto hai con la scelta dei colori?

Un rapporto assolutamente libero, nel bene e nel male. Sono un autodidatta e non ho preparazione specifica sulla teoria dei colori.

Come per la musica si dice andare ad orecchio, io nel dipingere, vado “ad occhio” e sperimento ogni volta, in ogni tela. E’ evidente che l’azzurro la fa da padrone, nei miei lavori e forse il perché è legato semplicemente alla sensazione di serenità, equilibrio ed infinito, alla possibilità dell’oltre che quel colore, più degli altri, mi trasmette.

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Da bambino eri già interessato al disegno?

L’approccio alle materie scolastiche, specialmente nel caso dei bambini, rappresenta una delle prime occasioni per ampliare i confini del proprio essere. La conoscenza, la sperimentazione.

Parlo della scuola perché è in quel luogo che vanno i primi ricordi dell’approccio con il disegno. Conservo ancora uno splendido album con tutti i disegni fatti all’asilo all’età di cinque anni. Ricordo che il disegno mi piaceva molto perché pur, a volte, nell’ambito di un tema, le insegnanti lasciavano molto spazio alla libertà e quindi alla ricerca, alla sperimentazione più o meno consapevole. Ci facevano poi usare un sacco di materiali, dalle matite agli acquarelli ai pastelli alla cartapesta fino al riso, per creare basi ruvide, insegnandoci il collage piuttosto che la tridimensionalità del pongo e la contaminazione di materiali e tecniche. Dalle scuole elementari quella libertà è stata bruscamente ridimensionata. O sapevi disegnare che significava riprodurre più fedelmente possibile qualcosa, oppure non era cosa  per te e dovevi lasciar perdere. La parte espressiva o creativa, non esisteva più.  Di fatto ho lasciato perdere per circa trenta anni convinto che fosse degno solo chi sapeva riprodurre fedelmente un paesaggio o un volto e quando ho cominciato a sentire forte la voglia di mettere i miei pensieri su tela, mi sentivo come un clandestino in un mondo d’altri e mi trovavo a censurarmi da solo.

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Come dovrebbe essere secondo te, l’educazione all’arte, a scuola?

In parte ho già risposto in precedenza. In sintesi credo che la scuola dovrebbe lasciare alla libertà di espressione il maggiore spazio possibile, affiancando poi,  con intelligenza, all’esperienza di se, accorgimenti e regole. Il risultato, secondo me, farebbe si che ognuno dei due processi di apprendimento non mortificasse l’altro ma che insieme permettessero di esplorare l’intera possibilità espressiva di ogni individuo.

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In quali attività artistiche sei impegnato al momento?

In genere i primi mesi dell’anno sono quelli del rinnovamento ed in questo periodo sto elaborando nuove idee per i prossimi lavori e cercando luoghi possibili, per realizzare esposizioni personali.

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Hai avuto modo di lavorare e essere riconosciuto anche fuori dai confini nazionali?

Ho esposto a Parigi in due diverse occasioni. In una esposizione collettiva di artisti italiani nel 2017 e in una fiera d’arte, shopping art Paris, nel 2016. Al momento ho alcuni contatti attraverso i quali spero di poter esporre in altri paesi europei. E’ vero anche che oggi per  farsi conoscere oltre i  confini del proprio paese, il web da grandi possibilità e mi ha permesso di avere visibilità e apprezzamenti da diverse parti del mondo.

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Quali sono i tuoi progetti artistici per il futuro?

Lavorare! Ho voglia di proseguire ed ampliare il mio viaggio di scoperta per poi manifestarlo attraverso l’ideazione e la realizzazione di nuovi lavori.

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Chiara Gasperini

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