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Intervista: DARIUSH “sul bordo di una rosa”

Un uomo e una donna che si abbracciano rappresentano un centro del mondo.

Un centro da cui tutto ha inizio per esplodere in forme e colori.

Amore in una naturale purezza di abbracci che si offrono a chi guarda come “una farfalla al mezzogiorno”.

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Le coppie di Dariush, gli animali, come cavalli e gatti, prendono forma dall’infinita molteplicità e paiono sul punto di fondersi di nuovo, un attimo dopo, nel vortice eterno del tempo: quell’abbraccio o quella posa, li avrà cambiati fino alla loro profondità, per sempre.

Come si può amare l’altro? Solo una sua parte è concessa: conoscenza e comprensione, come siamo soliti intenderle, sono parziali:

ho amato un quarto di una donna

scrive Dariush, in uno dei suoi libri.

Un pensiero capace di ricordare, tra gli altri,  Pessoa, che ne  Il libro dell’Inquietudine scrive:

due persone dicono reciprocamente “ti amo” o lo pensano, e ciascuno vuol dire una cosa diversa, una vita diversa, perfino forse un colore diverso o un aroma diverso, nella somma astratta di impressioni che costituisce l’attività dell’anima.

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 L’incontro vero …quando è possibile?

Resta desiderio illusorio o è per noi possibile viverlo tra gli istanti che susseguendosi spiegano la nostra vita?

C’è il rischio di diventare pezzi in un puzzle dal disegno già stabilito.

La nostra libertà creativa può esprimersi davvero costruendo, come si fa con il gioco delle costruzioni, qualcosa che noi abbiamo pensato e progettato, autonomamente.

Così è necessario agire, afferma Dariush: “LEGO” e non puzzle, mattoncini componibili con cui dare forma e significati.

Quello di Dariush è uno stile che affonda le sue radici nella cultura mitologica e artistica persiane.

Dariush è  un pittore nato a Teheran e vissuto  in Francia e Italia, dalla formazione artistico-culturale complessa e ricca.  Le sue opere aprono a tempi e spazi lontani. Come porte aperte su un’altra dimensione dell’esistere i suoi lavori ricordano che la realtà che ci circonda non è schiacciata nel presente e in quello che crediamo di vedervi. Vi si schiudono visioni e prospettive nuove, inedite e sorprendenti.

La dimensione che abitiamo ha radici nel tempo ed è portatrice di differenti significati.

Sorrisi  luminosi irradiano un gioioso senso di libertà.

I lavori di questo artista, che ha raccolto innumerevoli e prestigiosi riconoscimenti in Italia e all’estero, si trovano in varie nazioni ma anche a Lucca,  alla Galleria L’Arte, curata da Pierluigi Puccetti. Le opere riportate in questa pagina sono tutte litografie realizzate da Angeli e si trovano alla Galleria l’Arte.

http://www.lartelucca.it/?file=kop4.php

 

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Chiara: Teheran, tutto comincia a Teheran, in un luogo che fino al 1979 si poteva chiamare Persia.

Dariush:   io sono un persiano di Iran. l’ Iran è un luogo pieno di differenze che vivono insieme da migliaia di anni in un modo che non si ritrova in nessun altra parte del mondo.  In Persia ci sono settantadue diverse appartenenze etnico-religiose: azeri di Iran, baluchi di Iran, kurdi di Iran, urdi di Iran, gilaki di Iran, ebrei di Iran, armeni di Iran, zarathustriani di Iran, africani fuggiti dalla schiavitù, due ceppi di cinesi rimasti lì dalla via della seta, discendenti di Alessandro Magno, turkmeni di Iran e molti altri.

I Persiani sono sempre stati molto noti per il loro senso dell’ospitalità, non è facile pagare un persiano perché vorrà sempre ospitarti gratis.  In Persia, tutto ciò,  si chiama proprio “l’arte di vivere insieme” una particolare abilità nel tenere insieme, in pace e collaborazione reciproca, appartenenze etniche e religiose molto diverse tra loro.

Chi arriva da fuori, una volta in Persia, riesce a farla propria.

 

Chiara: come era la scuola a Teheran quando eri piccolo?

Dariush: le differenze con la scuola di oggi sono innumerevoli. Stiamo parlando di ben cinquanta anni fa e ci sarebbero molte cose da dire. A scuola si faceva molto artigianato, in particolar modo vicino alle feste o alle ricorrenze. Io ero considerato il migliore in questo genere di attività e venivo premiato. A Pasqua, una volta ho vinto in premio sedici uova. Con i miei amici ne mangiai così tante che dovetti andare dal dottore! Spesso a scuola dovevamo creare oggetti, come gli aquiloni o tante altre cose che poi facevo anche per gli amici. A scuola c’era molto artigianato, coloravamo tutto, anche scatole di fiammiferi. A Teheran tutti i bambini andavano a scuola, fuori dalla capitale meno. Nella generazione dei miei genitori c’erano molti intellettuali e poco analfabetismo, mio padre ha studiato come generale in Francia, per esempio.

 

 Chiara: cosa la ha spinta a cominciare a dipingere?

Dariush: avevo bisogno di guadagnare, mi dedicavo all’arte decorativa e al disegno industriale in Persia, guadagnavo ventidue volte lo stipendio di un operaio ma ho lasciato perché sentivo di avere bisogno di fare qualcosa che mi appassionava di più. Sono venuto a Firenze e mi sono iscritto a architettura, ma facevo anche belle arti e scultura, con Berti e Farulli. Farulli mi fu indicato da un mio professore persiano che aveva studiato a Roma. In quegli anni ero molto attivo nel sindacato degli studenti, occupandomi delle rappresentazioni teatrali. Ho utilizzato molte volte le storie di Behrangi o di Brecht per fare teatro negli anni ’70. Costruivo maschere e marionette, lavoravo in uno spettacolo ispirato alla breve storia dello scrittore iraniano Samad Behrangi, The Little Black Fish. Dario Fo, vedendo che ero un buon artigiano mi chiese di lavorare con lui. Io non parlavo bene italiano ma a lui piaceva molto ciò che realizzavo. I temi dello spettacolo erano la ribellione all’ingiustizia e alla prepotenza, si trattava del capodanno 1976. Avevo realizzato un Unicorno. Ho portato in giro questo spettacolo quando avevo venticinque anni, da Napoli a Sanremo per trenta volte, sempre in piazza. Il linguaggio era molto popolare e provocatorio.

A me non è piaciuto mai restare confinato in un solo  campo, ho sempre preferito spaziare tra varie forme artistiche, in molti rami. A Firenze dipingevo opere che vendevo a genitori di iraniani che vivevano lì. Poi a Nizza ho iniziato a lavorare alla galleria Ferrero, dove c’erano degli originali di Chagall. Prima di allora mi dicevano che facevo cose troppo classiche. Ma nel 1979, quando ormai avevo deciso di tornarmene in Persia, Ferrero volle comprare tutti i miei lavori. Da lì lavorai sempre con lui che apprezzò tutto quello che avevo fatto fino a quel momento, anche i disegni sulle mitologie persiane. Fu Ferrero a consigliarmi di andare a Lucca a creare litografie, un’arte che pochi sapevano fare bene. Non conoscevo Lucca e in estate sempre del ’79 ho iniziato a lavorare con Giuliano Angeli, in via della Zecca, nelle litografie. Ho lavorato lì per 35 anni. Poi purtroppo chiuse perché iniziarono a diffondersi tecniche di riproduzione digitali e molto meno artistiche e specializzate. Quando Angeli lavorava, la sua intera famiglia era specializzata e impegnata nel lavoro delle litografie, tanto grande era l’applicazione che richiedeva questa specializzazione. Talvolta occorreva un’intera settimana per realizzare una litografia e il costo era necessariamente alto. Si trattava del tempo e del ritmo ormai perduto delle piccole botteghe artigiane. Come paragonare i cavalli alle Ferrari. Inizialmente io facevo litografie su “Lettere di re”, un antichissimo libro mitologico persiano, tradotto anche in cinese, che raccoglie storie di 5000 anni fa in sette volumi. Io allora facevo lavori su questo libro ma non piacevano molto agli acquirenti e allora lavoravo con l’astrologia, facendo illustrazioni astrologiche oppure decoravo e realizzavo i certificati dei tappeti persiani. I tappeti persiani di grande pregio sono sempre accompagnati da un certificato decorato artisticamente che ne riporta i dati principali.

Chiara: a quel punto si è dedicato sempre alla pittura?

Dariush: avevo voglia di fare qualcosa di diverso; io scrivo persiano, francese e italiano. Così ho iniziato a scrivere libri, tra i quali uno è tradotto in Italiano e si chiama “1,2,3…”. Mi occupo anche di numerologia, a modo mio. Scrivo storie bizzarre.

Chiara: un libro onirico, di visioni, simbolico con illustrazioni pregiate. Leggo la prima riga

I sogni sono passeggeri come il vento

e poi vado avanti…

Amo il tempo

tempo che non capisco

vado avanti e posso cogliere nel libro una visione del tempo che diventa mistero, che fluisce

non uguale

non è neanche simile, paragonabile, adesso

L’amata respira come

come il movimento di una farfalla

sul bordo di una rosa

prima di partire

E poi la vita umana è mistero

quasi corro per risalire sul treno

mi ricordo del tunnel, nero

e bianco.

Ma io non mi rammento più se sto

partendo o tornando.

 

 

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Chiara: Sepheri, uno dei più grandi pittori e poeti iraniani suggerisce che dovremo piuttosto nuotare nell’incanto della rosa invece di cercare di capirne il segreto.

Dariush: per avvicinarci a questo grande poeta è importante ricordare dove è nato.  Nacque e visse a Kashan in una bellissima città al bordo del deserto persiano. Il Dasht-i-Lut è un enorme e arida distesa salata e desertica.  Non è come il deserto dell’Arabia Saudita dove dentro ci sono gazzelle e animali di ogni tipo ma più aspro e più estremo. Tuttavia, negli anni 50 hanno fatto un censimento e vi hanno trovato dentro più di mille villaggi che non sapevano nulla di quello che accadeva nel resto dell’Iran, conoscevano solo la mitologia, come le già citate “Lettere dei re” tramandate oralmente.   Sepheri fu un artista molto popolare e utilizzò un linguaggio semplice. In alcune delle sue opere ci ricorda di non sporcare l’acqua perché forse un vecchio metterà lì il suo pane per ammorbidirlo oppure una madre potrebbe utilizzarla per dissetare suo figlio.

Chiara: oggi ci fanno credere di vivere in un mondo minacciato dallo scontro tra occidente e oriente.

Dariush:  l’uno non può stare senza l’altro. Ho sempre pensato che ci siano due tipi di economia, una di pace e una di guerra.

In seguito alla seconda guerra mondiale l’economia di guerra si è sviluppata sempre di più. La gente, nei più svariati modi, ha dimostrato di non volerla ma non è stata ascoltata.

Chiara: i personaggi delle sue opere guardano il mondo come immersi in un universo fuori dal tempo e hanno lo stupore dei bambini.

Dariush: la mia specialità è la matematica, io prendevo sempre 30 e lode a architettura, senza studiare. La matematica dà certezza, io volevo diventare pittore per guadagnare un po’ e dovevo disegnare in un certo modo per dare forza ai personaggi. Io non ho rappresentato le ombre, non ho dato molto movimento alle opere. Il mio capolavoro è il seno. Il collo è diritto. Queste caratteristiche hanno portato le mie opere un po’ fuori della dimensione carnale. Il naso non lo realizzo se il volto è di fronte e gli occhi sono ben aperti. Purezza. In un certo periodo ho osservato  i lavori di altri come Manfredi, o Guttuso, rendendomi conto che i miei nudi sono innocenti e per nulla volgari. Io cerco di disegnare il nudo con una purezza simile a quella, per intenderci, che sono in grado di esprimere gli indigeni dell’Amazzonia nelle foto che li ritraggono, svestiti e naturali.

Anche Modigliani è andato in questa direzione, porta fuori dalla realtà i corpi che rappresenta ed è un mistero come sia arrivato a poterlo fare.

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