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Intervista: LUCA DOVERI “Crescendo tra favole e meditazione”

 

Luca Doveri è uno scrittore toscano che si è formato fin da giovanissimo nel campo del massaggio e della crescita personale. La scrittura, per questo artista, non è solo evasione dalla realtà ma possibilità di costruzione di nuovi punti di vista sul mondo, trasformazione, sviluppo di nuove libertà di essere e di esistere.                                                                                                   I destinatari privilegiati dei suoi racconti sono i bambini ma anche gli adulti potranno attingere dalle sue narrazioni.

Salone Internazionale del libro di Torino, 18 maggio 2017
Salone Internazionale del libro di Torino, 18 maggio 2017

Numerose esperienze di vita, lavorare come massaggiatore olistico, viaggi in oriente e periodi di vita all’estero,  hanno consentito a Luca Doveri di approfondire la conoscenza dell’animo umano e di dare forma ai personaggi dei suoi libri.

Viaggia e visita nuove terre umano errante e l’anima s’arricchirà di emozioni, colori e poesia fino a che non capirai la vita e la sua magica alchimia.                                                                                                                                                                                “La piramide dei desideri”                               

La forza positiva che scaturisce dalla sua narrazione nutre l’ottimismo e la forza del lettore che viene così invitato a trovare nuove soluzioni e a cogliere il meglio che l’esistenza possa offrire.

La lettura apre le finestre che si affacciano sull’anima del lettore.                                                                                                                                                                              “Teseo e la Vespa parlante”

Chi legge potrà trovare nei libri di Luca Doveri uno spazio dove far crescere ottimismo, pace e armonia. In un modo semplice ma profondo sono i grandi temi dell’esistenza che vengono toccati dalle sue storie.

La Nazione, martedi 16 maggio 2017
La Nazione, martedi 16 maggio 2017

Ogni paura esiste solo fino a quando la si affronta e la si comprende.
E’ allora che perde tutta l’energia che le si era attribuita e non diventa altro che una piccola goccia d’acqua nel palmo della nostra mano
                                “La piramide dei desideri”

I personaggi e le storie di Luca Doveri ci invitano a riscoprire il bambino che in noi è ancora in grado di cogliere la magia della vita e la meraviglia di esistere. I libri di Luca Doveri sono ricchi di spunti, sogni e intuizioni, scritti in una forma narrativa accattivante, diretta, agile e piena di emozione.

Il pensare colorato e con gioia è il gesto di maggior riconoscenza che possiamo 
avere verso colui che ci ha donato la possibilità di pensare.           La stella della fantasia

La pagina facebook di questo originale scrittore è ricchissima di contenuti, uno spazio prezioso dove la magia della lettura comincia a diventare un viaggio fuori e dentro se stessi: https://www.facebook.com/l.doveri

Dove trovare i libri di Luca Doveri: https://www.amazon.it/Luca-Doveri-Libri/s?ie=UTF8&page=1&rh=n%3A411663031%2Ck%3ALuca%20Doveri

Chiara: quando hai scritto il tuo primo libro?

Luca: ho iniziato a scrivere nel 2005 quando Lina Talarico, una cara amica che fa la maestra nella scuola primaria cercava libri di favole per bambini da poter leggere in classe.  Le sue ricerche quella mattina non andavano a buon fine e io scherzando, le proposi che avrei scritto qualcosa per lei! Fu così che scrissi la prima favola “Mogul la farfalla fantastica”. Lina lesse la favola in classe dicendomi che era piaciuta molto ai bambini, così si può dire che ho iniziato per caso, anche se nulla inizia per caso. I bambini ne fecero disegni e commenti positivi. Ricordo ancora la felicità mia e di Lina nel vedere i bellissimi disegni della farfalla che rappresentavano emozioni e pensieri dei bambini. Incoraggiato anche da Lina ne scrissi un’altra e poi un’altra ancora arrivando a dieci: nacque così il mio primo libro “La stella della fantasia”.

Mi è sempre piaciuto scrivere pensieri e poesie ma la mia passione si è davvero concretizzata in questa prima occasione.

Nello stesso periodo scrissi un altro libro: “La piramide dei desideri” rivisto poi in diverse parti nel 2013, prima di pubblicarlo. Il libro racconta la storia di Iseo, un bambino che con l’aiuto di un pappagallo scala una piramide di erba affrontando prove e indovinelli sul significato della vita. Nel 2015 ho poi scritto un libro per la Fondazione Piaggio. La storia racconta di una vespa volante e parlante che accompagna un bambino in una avventura attraverso i cieli della Terra.

"Teseo e la vespa parlante", Fondazione Piaggio, illustrazioni di Maddalena Carrai
“Teseo e la vespa parlante”, Fondazione Piaggio, illustrazioni di Maddalena Carrai

Chiara: una vespa e un bambino…

Luca: la Fondazione Piaggio di Pontedera mi aveva proposto di scrivere una storia per bambini che avesse come protagonista una vespa. Vivevo a Londra, all’inizio non è stato facile, poi dopo un paio di settimane mentre ero a scrivere in uno Starbucks vicino a Wimbledon mi è nata l’idea del libro e il suo titolo: “Teseo e la Vespa parlante”.                               Il racconto inizia con una scolaresca di bambini che vanno in visita al museo della Vespa di Pontedera e lì un bambino rimane attratto da Mafalda, una vespa celeste che gli parla, invitandolo a salire in sella. Lasciata la scolaresca a terra, i due volano via arrivando in India dove incontrano amici, altre Vespa, animali parlanti e Saggioluce, il buffo guardiano di un magico lago sull’Himalaya che aiuterà i nostri protagonisti a salvare la Terra.

Il personaggio Saggioluce, "Teseo e la vespa parlante", illustrazione di Maddalena Carrai
Il personaggio Saggioluce, “Teseo e la vespa parlante”, illustrazione di Maddalena Carrai

Chiara: nei tuoi libri si vedono bellissime illustrazioni, come si crea per te la collaborazione con l’illustratore?

Luca: prima scrivo la storia, poi insieme a chi disegna e all’editore decido quante illustrazioni fare, cercando i punti più salienti, quei momenti del racconto che ci sembra più giusto abbinare a un’illustrazione. Chi disegna spesso mi aiuta a vedere sotto altri punti di vista la storia, perché tutti siamo colpiti da aspetti diversi del racconto.                                            I primi due libri editi da ArtEvenBook sono stati illustrati a matita da Anna Lisa Gneri, una mia cara amica di Pontedera, una magica persona con un forte amore per i colori e una grandissima pazienza, è anche grazie a lei se sono arrivato alla pubblicazione dei miei primi due libri.                                                                                                                                                                      Il libro sulla Vespa e il prossimo in uscita ad Ottobre edito da Edigiò sono stati illustrati da Maddalena Carrai in digitale, il primo libro sulla Vespa è stato ideato da me e Maddalena nel 2015 senza incontrarci, io in quel periodo vivevo a Londra e lei a Livorno; Maddalena è quel genere di artista che non ha bisogno di tante parole, appena legge riesce in poco tempo a immaginarsi l’illustrazione più adatta.

Chiara: di cosa parlano i tuoi libri?

Luca: avendo un passato da operatore olistico ed essendo un amante di tutta la psicologia e delle filosofie orientali, quando ho iniziato a scrivere, ho cercato di canalizzare tutti questi insegnamenti ed esperienze nelle mie storie.                                                                                         Pur essendo favole sono portatrici di tutti i miei vissuti. Prima di ogni capitolo inizio sempre con un aforisma psico-filosofico rivolto agli adulti. Il breve incipit riprende il contento del capitolo che seguirà, è uno stile che ho utilizzato in tutti i libri tranne in quello della Vespa. Penso che l’ottanta per cento di ciò che c’è scritto nelle mie favole venga da questo background formativo olistico che, anche se non viene colto subito, arriva nella mente del lettore. Cerco sempre di far affiorare un senso, una morale psico-filosofica da quello che scrivo. Tutte le favole hanno un potenziale in questo senso, così quando scrivo cerco il più possibile di accompagnare l’immaginazione del lettore oltre la semplice lettura d’intrattenimento. Per questo amo definire come “favole psicologiche” quello che scrivo. Ovviamente ci possono essere molti livelli di interpretazione, tanti quanti sono i lettori e questo è anche il bello della lettura. Tuttavia cerco sempre di inserire significati profondi come per esempio nel secondo libro che ho scritto “La Piramide dei desideri”.                Il libro parla di un bambino che scala una piramide di erba; da un punto di vista più profondo, l’attraversamento dei sette piani rappresenta il superamento di sette livelli psicologici verso l’evoluzione e la comprensione di noi stessi e del mondo che ci circonda.

"La stella della fantasia" e "La piramide dei desideri" al Salone internazionale del libro di Torino, 18 maggio 2017, illustrazioni di Anna Lisa Gneri
“La stella della fantasia” e “La piramide dei desideri” al Salone internazionale del libro di Torino, 18 maggio 2017, illustrazioni di Anna Lisa Gneri

Chiara: ti va di lasciarci un messaggio in particolare, qualcosa da dire ai bambini.

Luca: più che dire, direi trasmettere. I bambini sono magici, bisogna avere più calma di vedere questa magia in loro e riuscire così a trasmettergli le modalità per mantenerla viva negli anni. Quando riusciamo a fare questo la parte magica e creativa rimane in loro accompagnandoli verso la libertà di pensiero nella loro vita.                                                                 La tecnologia ha i suoi vantaggi basta che non sostituisca la sana creatività che realizza ciò che prima è stato nell’immaginazione. Questa estate ho pensato di scrivere proprio un libro che tratti questi cambiamenti tecnologici che ci sono stati negli anni nel mondo dei bambini, se uno di questi giorni mi viene l’intuizione giusta lo inizio a scrivere. Ci penso sempre bene prima di iniziare a scrivere perché nelle parole c’è molta responsabilità, specialmente nella letteratura per l’infanzia. I bambini sono tutti un terreno fertile su cui piantare. Le parole che usiamo per i bambini hanno una grandissima importanza.                    I genitori e chi lavora con i bambini è giusto che sappiano che le parole sono energia in grado di agire nei pensieri; sia quelle dei libri che si comprano ai figli sia quelle che si dicono a voce hanno tutte una grande potenza sullo sviluppo delle nuove generazioni. Siamo in un periodo storico di grandi cambiamenti sotto tutti i punti di vista, alcuni cambiamenti sono visibili altri meno, tuttavia ognuno nel suo piccolo può fare qualcosa per aiutare la Terra dove siamo nati. Così mi sono chiesto cosa potessi fare per migliorare questo mondo e un giorno ho riflettuto su una frase del Dalai Lama:                                                                                                                                                                                                                                               “Se ad ogni bambino di 8 anni venisse insegnata la meditazione,                                             riusciremmo ad eliminare la violenza nel mondo entro una generazione”

Io in verità conoscevo già la meditazione, l’avevo imparata e sperimentata su di me nel corso degli anni, così ho avuto un’intuizione: unire tutti gli insegnamenti ricevuti con le favole che scrivo. Le favole sono uno straordinario mezzo attraverso il quale i bambini possono chiudere gli occhi iniziando a usare la loro immaginazione e, se guidati da qualcuno, possono anche riuscire a meditare e rilassarsi in un modo davvero sorprendente. Così, nel 2016 ho iniziato a diffondere dei progetti unendo il rilassamento e la meditazione con la lettura di favole nelle scuole dell’infanzia e nelle scuole elementari. Gli incontri sono sempre stati sopra le mie aspettative dato che i bambini sono molto più veloci, spontanei e naturali degli adulti. La cosa più bella è vedere i disegni delle immagini che riescono a vedere durante i momenti di rilassamento a occhi chiusi. In più, in seguito, sono diventato istruttore MISA, un’associazione internazionale che promuove il massaggio tra bambini e le buone relazioni nelle scuole di tutto il mondo. Io, nel ruolo di istruttore, insegno alla maestra i quindici movimenti che costituiscono il protocollo di massaggio. I bambini guardando imparano e poi lo ripetono tra loro senza che nessun adulto tocchi direttamente i bambini. Ho conosciuto di persona la fondatrice Sylvie Hétu e ammetto che ha creato un protocollo davvero geniale per favorire le buone relazioni e una nuova modalità di interagire e comunicare.

Chiara: Luca, ci racconti una curiosità della tua infanzia?

Luca: ti racconterò una cosa originale, Luca da bambino sentiva un forte legame con Bruce Lee, il noto attore praticante di arti marziali, senza sapere tanti perché ho sempre voluto una sua foto in camera mia. Durante la vita ho cercato delle risposte e dopo anni ho capito che Bruce era prima di tutto un grande culture della filosofia e della psicologia; evidentemente da bambino sono rimasto affascinato dal suo modo di unire la profondità delle arti marziali con l’amore per la vita e la filosofia. Negli anni ho anche praticato diverse arti marziali fino a quando ho scoperto il Wing Tsun, senza sapere che è lo stile che Bruce Lee praticò da ragazzo. Rientrato da Londra in toscana pochi mesi fa ho conosciuto Niccolò Taliani, un maestro che insegna Wing Tsun a grandi e piccini. Riconosco in lui, come riconobbi in Bruce Lee, anche un grande amore per la filosofia e la psicologia e chissà, magari in futuro faremo qualcosa insieme per i bambini unendo meditazione, favole e Wing Tsun, potrebbe essere per loro una straordinaria opportunità di crescita a 360 gradi.

Chiara: progetti futuri?

Luca: a Ottobre pubblicherò il mio quarto libro per grandi e piccini “Volami Accanto”, edito da Edigiò. Sarà una magica storia tra un bruco e una formica ambientata in una casa. Un racconto di un’amicizia impossibile che attraverso una serie di colpi di scena ci dimostrerà i valori e la potenza dell’amicizia.                                                                     Attualmente sto lavorando anche ad altri tre libri:                                                                               – Una storia che parla di un bambino, di una coccinella e dei sette segreti della fortuna. Sarà un testo per grandi e piccini completamente innovativo contenente una favola abbinata a dei giochi psicologici.

– Un libro scritto a quattro mani con Vanessa Salmoiraghi, una cara amica di Milano. Sarà un testo di favole guidate abbinate a un dvd, un’avventura sciamanica fra un bambino e un’aquila, contenente rilassamenti da leggere o ascoltare ad occhi chiusi.

– Un libro che attraverso una favola spiega ai bambini l’importanza del presente, contrapposto ad un lontano passato e a un lontano futuro.

La Nazione, mercoledi 22 febbraio 2017
La Nazione, mercoledi 22 febbraio 2017

Una bella notizia del 2017:

Il libro “La Stella della Fantasia” è arrivato grazie a un angelo chiamato Michela in Africa nel villaggio di Ve Deme, Ghana, come regalo a un gruppo di bambini che stanno aspettando la costruzione di una scuola.                                                                                                                                Per leggere l’articolo: http://www.michiwipi.com/2017/08/15/la-stella-della-fantasia/

 

Luca Doveri e due delle sue opere
Luca Doveri e due delle sue opere

 

 

 

 

 

 

 

 

Intervista: MAURO TIBERI “filosofia della musica”

Di cosa avete letto questa estate?

Quali autori hanno accompagnato le vostre benedette, calde ore di sole?Per quanto mi riguarda, il tema dominante è stato la musica e in particolare, il canto. Da lì a ricordare la mia tesi di laurea, dedicata proprio alla voce, il passo è stato breve, anche se quel lavoro risaliva a ben dieci anni fa. Tesi che riguardava la voce e le sue potenzialità espressive.

Il nostro parlare è un atto creativo simile a quello che compie un musicista, parlando o cantando stiamo suonando uno strumento naturale e umano che è unione di corpo e psiche: soggetto che suona e strumento suonato si identificano. Nella voce, unica come ognuno di noi,  si trova ciò che siamo, dalle eredità genetiche alle successive esperienze che hanno caratterizzato la nostra vita.

Si tratta di un messaggio sonoro carico di significati.

In realtà tutto ciò che ci circonda è carico di significati, per chi lo sa ascoltare: il vento e il suo modo di sfiorare le foglie, lo scricchiolìo di una corteccia, l’acqua che massaggia uno scoglio. Tutto racconta. Possiamo connetterci alla dimensione sonora dell’esistenza. Una poesia del poeta Gibran, dai forti legami con il misticismo sufi e divenuta poi canzone interpretata da Fairuz, recita più o meno così:

“Passami il nay e canta perché il canto è il segreto dell’universo e la musica resterà oltre la fine dei tempi”.

E così, a tutti è dato di poter giocare con la voce, comunicando idee, immagini, emozioni, attraverso forme espressive altre, non convenzionali, sul piano fisico, psichico e spirituale.

“Tutto scorre” e anche la voce si modifica in base alle esperienze che viviamo.

Non è mai solo un mezzo informativo dal punto di vista linguistico. E’ comunicazione in senso lato, su più livelli, come la Scuola di Palo Alto insegna ma soprattutto come il nostro “istinto” sa riconoscere. Anche di questo si occupa l’artista che sono molto felice di presentarvi in questa nuova intervista. Per esperienza, posso dire che il lavoro con lui è in grado di schiudere inedite prospettive su se stessi e sull’altro, dove la creatività regna sovrana. Un lavoro profondo, in grado di riconnettere chi lo fa a energie naturali forti e ancestrali. Mauro Tiberi,  è polistrumentista, ricercatore vocale, musicista. Le sua formazione spazia dal canto difonico alla vocalità sacra orientale interessandosi anche di canto indiano negli stili dhrupad, kyal e qawwali  e canto indoeuropeo. Mauro ha fuso le conoscenze provenienti da varie tradizioni artistiche e percorre l’Italia e non solo, per esibirsi come musicista e lavorare con guppi di persone interessate alla sperimentazione di nuove forme espressive.

Da molti anni ha creato e conduce la rassegna “I Canti Misterici” nella basilica di San  Giorgo al Velabro a Roma. http://www.maurotiberi.comphoto.php

 

Da bambino eri già interessato alla musica?

Da bambino mi divertivo a suonare un pianoforte giocattolo Bontempi, poi dopo una chitarrafinta, sempre  Bontempi, su cui componevo canzoni in inglese inventato … (i danni della colonizzazione culturale americana nei primi anni 70). 

Invece, importante segno per il mio futuro, cantavo molto dalla finestra e così mia madre conosceva tantissime signore, inventavo canzoni con le parole … chissà quante cose diciamo, “fantasiose” avrò inventato… però avevano un risultato, vedere  questo bambino di circa 5 anni che cantava dalla finestra aveva destato molto in positivo l’attenzione del vicinato … poi, in seguito, le canzoni, in generale, non le ho mai più particolarmente apprezzate, ho sempre avuto più interesse per la musica strumentale e per un uso strumentale della voce. Tutto questo per dire, si, da bambino ero molto interessato alla musica. 

Quali incontri hanno pesato di più sul tuo percorso artistico?

Sempre da bambino, un incontro importante è stata l’India. 

Nei primi anni 70 mia madre lavorava come commessa in un negozio di oggetti e  stoffe provenienti dall’India e io ho passato tanti pomeriggi a cercare di suonare sitar, tampoure e altri strumenti sconosciuti,  anche mezzi rotti che giungevano  nel negozio. In seguito, quando nella mia vita dopo vari studi e lavori la musica è diventata la mia professione, molto significativi sono stati gli incontri con Michiko Hirayama una ormai molto vecchia grande cantante giapponese e tantissimi altri musicisti. Ma oltre le persone e i professionisti in genere, la cultura di una nazione ha dato l’impulso più importante alla mia visione della musica, al cercare di recuperare la funzione sociale e spirituale di quest’arte che oltre l’ascolto dell’aspetto estetico dei suoni  contiene tantissime altre cose utili alla salute, all’educazione e ad ampliare la visione delle cose. 

Determinante è stato un viaggio di lavoro in Iran che mi ha fatto vivere la funzione sociale delmusicista e, tornato in Italia da quel momento in poi ho  cercato di vivere così la musica. 

Non cercando la “popolarità” per essere chiari quando si  parla di sociale, ma di portare nella società i benefici  educativi che quest’arte riesce a dare  nella crescita spirituale, sociale, etica e fisica  dell’essere umano.

 

Mauro a Mecenate

Il tuo lavoro mira a creare armonia nella persona e di riflesso nella società. Questa finalità nel lavoro con il suono è tipica di molte culture, penso a quella della Mongolia, alla tradizione sufi, ma anche a quella della Grecia antica con i riti misterici e molte altre. Ti ispiri a qualche tradizione culturale, in particolare?

Si. Un pochino prendo da tutte queste culture  che hai citato nella domanda, però non sono mai riuscito ad aderire totalmente ad una di queste importanti filosofie. Credo di essere, sotto certi punti di vista, un sufi eclettico e sincretico allo stesso tempo.  Il mio obiettivo è quello di portare armonia, pace e gioia e la capacità di vivere l’amore nel senso più grande del termine… ci provo, non sempre ci riesco, però e per questo che mi sento un po’ un sufi.  

Ci sarebbe molto da aggiungere slegando il sufismo dalla religione … però si allargherebbe  troppo il discorso.  

La natura con i suoi infiniti suoni di vento, acqua, piante, animali, ha insegnato all’uomo la musica e gli ha dato l’ispirazione per creare a sua volta. Oggi molti bambini vivono in universi sonori poveri, le città, dove prevalgono suoni artificiali, auto, clacson, rumori di vario tipo. 

Questo è un problema reale che è molto più esteso della questione del suono, ma è legato alla disumanizzazione della vita, alla perdita dei rapporti con la natura e  con la natura umana …

Chi sono, oggi, coloro che si rivolgono a te per lavorare sulla voce e sul suono?

Molte persone che hanno voglia di conoscersi meglio attraverso la loro voce, persone che hanno timidezze o hanno capito di avere un grande potenziale esprimibile attraverso la voce vogliono conoscerlo meglio e svilupparlo ai fini del benessere e della comunicazione della loro essenza. Ho pochi professionisti, un 10% forse anche un po’ meno di professionisti intesi come cantanti, attori ecc, ma molti altri che sono professionisti della voce a loro insaputa …

Attraverso il lavoro sul suono è possibile sperimentare particolari stati non ordinari di coscienza?

Certamente. Questo è argomento di interesse di scienziati e c’è tantissima letteratura a  riguardo sui rapporti tra musica e trance  e in alcune esperienze è molto facile sperimentare stati non ordinari di coscienza attraverso il suono.

Daresti qualche idea per migliorare le ore di musica a scuola?

Fare laboratori di musica d’insieme destinati a chi non sa suonare e cantare e che forse non lo farà mai nella vita, mescolando a questi anche chi sa già suonare. Il risultato non sarà grande musica, ma una grande esperienza umana, poi una volta compreso dagli studenti cosa è realmente la musica, si potrà parlare di Bach e Beethoven e non saranno più, per la maggioranza degli studenti, la sorpassata espressione di una cultura  borghese …

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Intervista: FEDERICO BIANCALANI “Des ailes couvrent les feuilles”

Una sera di Aprile, quando ancora non era primavera ma di certo l’inverno era finito, sono andata a teatro per la messa in scena di un’opera minore di Čechov.

In quella occasione ho visto in scena una delle ultime creazioni di Federico Biancalani.

Mi ha incuriosito non poco.

Quel ”viaggio” in Russia aveva lasciato intravedere paesaggi che volevo visitare subito, scendendo dal treno e andando a piedi, con tutta la voglia di dare spazio alla meraviglia.

Felicemente persa, eccomi a raccontare.

Scenografia, illustrazione, formazione, scultura, pittura, grafica, sono gli ambiti in cui il lavoro di Biancalani si concretizza.

Una solida formazione e numerose, notevoli esperienze, spesso riconosciute da premi e menzioni di merito, lo caratterizzano. Un lavoro che si configura come ricerca espressiva costante, in dialogo aperto con il momento presente e le sue dimensioni più recondite.

La natura spesso è messa in scena e celebrata con una semplicità minimalista che ne esalta la straordinarietà.

Creazioni che rimandano a una dimensione dell’essere che si colloca tra ragione e inconscio, sonno e veglia, dinamica e stasi.

Ti trovi davanti a una sua illustrazione e pensi al surrealismo.

Ma poi dimentichi questa parola. Del resto non è che una definizione, mentre, per rifarmi alle parole di qualcun altro, l’arte dà forma agli enigmi e lascia perdere le soluzioni.

Per conoscere meglio Federico Biancalani, oltre a leggere questa intervista, si può navigare verso il suo sito, l’esperienza diretta saprà dire certo più delle mie parole.

http://www.federicobiancalani.com/

babbo.jpg: Opera di Federico Biancalani, Titolo: Babbo, tecnica: acquerello su carta, 25x35 cm, 1978
Opera di Federico Biancalani, Titolo: Babbo, tecnica: acquerello su carta, 25×35 cm, 1978

Federico, da bambino,  sapeva già che lavoro voleva fare da grande?

‘Federico da grande’ sa che ‘Federico da bambino’ è ormai perso e non vuol fare come certe vedove che mettono in bocca al marito defunto affermazioni che il marito non si sarebbe mai sognato. ‘Federico da grande’ stenta a trovare un collocamento esatto nel mondo e pensa che probabilmente anche ‘Federico da bambino’ non avesse idee più chiare. Quando ‘Federico da grande’ guarda ‘Federico da bambino’ nella immagine del profilo della sua pagina Facebook – alla guida di una macchinina di plastica gialla, con casco ed occhiali da velocità – gli pare di riscontrare una sfumatura interrogativa negli occhi, come dicesse “Si ma ora ‘ndo vado? Piove pure!”

federico.jpeg: Opera di Antonio Biancalani, Titolo: Federico, tecnica: olio su tavola, 120x150 cm, 1979
Opera di Antonio Biancalani, Titolo: Federico, tecnica: olio su tavola, 120×150 cm, 1979

Ci sono stati incontri importanti, in grado di influenzare positivamente il tuo percorso artistico?

 Mio padre è un pittore e pertanto pennelli, colori e odori di olio di lino hanno influenzato il mio orizzonte sensoriale sin da bambino. Lo studio di mio padre era una stanza al primo piano. Il pavimento in cotto, poggiato su travi e travicelli di legno, era elastico. Camminandoci oscillava come un delicato terremoto sussultorio. Appoggiato su una sedia e con le ginocchia per terra disegnavo divertito da quella oscillazione. Tutto ciò credo sia una influenza talmente radicale da non sapere come descriverla se non sottoforma di ricordi sensoriali. Al liceo artistico gli impiantiti erano piuttosto stabili, ma per fortuna c’era Rosetta Di Ruggiero – insegnate di plastica, bravissima restauratrice e persona dalla vitalità sismatica. L’irruenza sismatica di Rosetta era ben più scioccante del pavimento di mio padre, aveva il pregio di allargare gli orizzonti e di sgretolare quelle costruzioni effimire e seriose – tanto care al giovane artista – incoraggiandoti a costruzioni ariose da porre al cimento dell’ironia e della sperimentazione. Recentemente ho fatto l’allegra conoscenza di Michele Sinisi, valoroso regista e attore. Per quanto diversi per temperamento ci troviamo a spartire la stessa passione per la vivacità dei terremoti, per il piacere di perturbare le convenzioni ed appendere alla porta del teatro il cartello:

‘Work-in-progress’

‘Vietato l’accesso agli addetti ai lavori’

 Osservando le tue creazioni emerge una costante, incontenibile ricerca di nuove forme espressive: cosa riesce a orientarti ?

 In verità mi trovo spesso disorientato, e in verità ho un pessimo senso dell’orientamento anche per le strade, talmente pessimo da sfiorare la patologia. All’inizio mi si presentano molte possibilità, tante strade possibili, e quello che mi è più chiaro è ciò che non voglio. Poi comincia a precisarsi quello che voglio e comincio ad intuire  qualcosa che sottende e muove le possibilità singole, come se la struttura topografica delle strade si facesse più chiara, allora seguendo quel qualcosa riesco ad orientarmi. Credo esista una differenza tra la pensata e l’idea. La pensata è qualcosa che finisce lì, l’idea è una dinamica di più ampia che richiede sintesi e che va trovata nell’immanenza della prassi, dei materiali e degli strumenti. Finche non intuisco qualcosa che si avvicini ad un’idea continuo a pesticciare per i vicoli piuttosto nervosamente.

 È possibile rintracciare una specifica tonalità, un tema ricorrente in tutto quello che crei?

 Su un piano formale e tecnico se dovessi individuare due qualità ricorrenti direi leggerezza e trasparenza. Se ciò che ho detto riguardo all’immanenza non è solo una speculazione ma qualcosa che appartiene a quello che faccio, queste due qualità dovrebbero significare qualcosa anche ad un livello più ampio, ma onestamente non so cosa.

- stultifera_navis.jpg: Opera di Federico Biancalani, Titolo: Stultifera Navis, Tecnica: rete in acciaio armonico e ferro, dimensioni variabili, 2013
Opera di Federico Biancalani, Titolo: Stultifera Navis, Tecnica: rete in acciaio armonico e ferro, dimensioni variabili, 2013

Il tuo recente lavoro come scenografo di “Miseria e Nobiltà”, per la regia di Michele Sinisi, ha riscontrato un grande consenso di pubblico e di critica. Vuoi parlarci di questa esperienza?

Lo spettacolo ancor prima di ricevere un grande consenso di pubblico e critica ha ricevuto il grandissimo consenso di chi ci ha lavorato. Più che ad uno spettacolo abbiamo pensato a questo progetto come ad una festa su miseria e nobiltà. A tal fine tutti – i dieci meraviglosi istrioni, il drammaturgo Francesco Asselta, gli aiuti regista, i tecnici, la produzione, i laboratorianti – tutti hanno contribuito meravigliosamente a mantenere questa fucina ad un regime di fuoco scoppiettante se non divampante. Purtroppo l’arte viene frequentata sempre più dai soli addetti ai lavori e gli ambienti artistici stanno diventando circuiti sempre più chiusi e seriosi. La festa è una dimensione che abbiamo cercato per ritrovare l’aspetto ludico del teatro, per  tentare di rompere la chiusura dei circuiti artistici e riconquistare l’originaria funzione di rito collettivo. Ricordiamoci che anticamente il teatro era solo una parte di ritualità ben più ampie come le dionisie greche, i ludi latini, le sacre rappresentazioni etc.

Abbiamo dunque cercato un respiro ampio, abbiamo attivato laboratori attoriali e scenografici, lavorando sul palco con prove costantemente aperte al pubblico; dal punto di vista della messa in scena abbiamo giocato con i momenti memorabili del testo, concentrandoci su quelle scene ormai divenute parte dell’immaginario comune. Il progetto si è alimentato di questa energia collettiva.

Finite le prove succedeva spesso di trovarsi in qualche posto e di continuare a lavorare a suon di danze e Moscov Mule. Lavoravamo circa 12 ore al giorno, la pausa pranzo era spesso breve e frugale ed a fine prove, affamatissimi, saccheggiavamo i buffet degli Happy Hour milanesi come fossimo veramente i poveri di Miseria&Nobiltà quando arrivano a casa del cuoco arricchito. Un metodo Stanislawsky riportato alla concretezza fisiologica dei succhi gastrici!

- IMG_2222.jpeg: Miseria&Nobiltà, foto di scena
Miseria&Nobiltà, foto di scena

 

Nel tuo lavoro ti occupi spesso di infanzia, ragazzi, educazione. Quali obiettivi ti prefiggi di raggiungere in questi casi?

Durante il fermento chiassoso di un laboratorio sull’argilla con un gruppo di quattro anni, un bambino viene da me e mi mostra un piccolo ovulo d’argilla dicendo “Guarda, ho fatto un sasso!”. Senza dubbio il manufatto, nella sua semplicità, coglieva il soggetto con una compiutezza formale degna del miglior Canova. Dopo dieci minuti torna da me mostrandomi lo stesso manufatto e dice “Guarda, ho fatto un pinolo!”. Ignoro se in quei dieci minuti il pargolo abbia fatto e disfatto quaranta volte l’ovuletto, o se invece non l’abbia neanche toccato, sta di fatto che sono rimasto folgorato da ciò che mi aveva mostrato. L’approccio infantile a quelle attività che noi adulti chiamiamo artistiche mi ha spesso aperto delle prospettive che sono dei veri baratri.

Nei miei laboratori probabilmente cerco uno scambio, non credo di volere e potere insegnare qualcosa. Quello che tento di fare è ciò che fa un bravo vinificatore: l’uva fermenta da sola e il vinificatore  la sorveglia, pulisce i tubi e rimuove le fecce quando è il momento. Credo che l’infanzia disponga di lieviti freschi capaci di fermentazioni estetiche sorprendenti e che tali fermentazioni vadano assecondate per quello che sono. Bisogna dimenticarsi soprattutto del nostro concetto adulto di arte, anzi il nostro concetto di arte è proprio quella feccia che va rimossa perché non ‘adulteri’ il vino. In altre parole il processo va curato senza pretendere il risultato. Ogni stagione, ogni uva darà un vino irripetibile, ma oggidì gli enologi vanno per le cantine con le mazzette colore e stabiliscono a priori come dovrà essere il vino. C’è troppa attenzione sull’infanzia, mi piace pensare potergli regalare dei momenti di disattenzione, una botte vuota in cui possa fermentare il vino dell’imprevisto.

Occhi_chiusi3.jpg: "Disegna quello che vedi a occhi chiusi", laboratorio per prima elementare, tecnica: carboncino su cartoncino nero
“Disegna quello che vedi a occhi chiusi”, laboratorio per prima elementare, tecnica: carboncino su cartoncino nero

 

Occhi_chiusi3.jpg: "Disegna quello che vedi a occhi chiusi", laboratorio per prima elementare, tecnica: carboncino su cartoncino nero
“Disegna quello che vedi a occhi chiusi”, laboratorio per prima elementare, tecnica: carboncino su cartoncino nero
Occhi_chiusi2.jpg: "Disegna quello che vedi a occhi chiusi", laboratorio per prima elementare, tecnica: carboncino su cartoncino nero
“Disegna quello che vedi a occhi chiusi”, laboratorio per prima elementare, tecnica: carboncino su cartoncino nero

Intervista: STEFANO NOTTOLI “c’è un gatto sopra il tetto che cinguetta col cappello da cowboy”

Il 2016 vogliamo aprirlo in musica.

A fare gradita incursione nella casa di Disegnostorie è il caro Stefano Nottoli, cantautore e pianista toscano.

Innegabilmente ricco di talento, caratterizzato da uno stile personale, molto originale, a tratti onirico, decisamente raffinato. I suoi pezzi accompagnano chi ascolta in un mondo fuori dal tempo, popolato da personaggi surreali, poetici e teatrali. La fantasia si accende e la voglia di ballare si fa irrefrenabile.

Cantastorie, cantautore, musicista, attore, performer, docente di scienze presso le scuole superiori.

Un passato di diverse esperienze musicali, attraversando generi e stili diversi e arricchendo la sua gamma espressiva con sfumature ben rintracciabili nel suo lavoro.

Teneva i primi concerti in casa, lo strumento erano i coperchi delle pentole della mamma, la location la cucina. La platea era esigua e l’impianto audio non ancora all’altezza, così, solo i familiari potevano assistervi. Per nostra fortuna, a 16 anni fondava la sua prima band. Successivamente ha cambiato più volte formazione artistica attingendo alle più diverse tradizioni musicali italiane e internazionali, contemporanee e non.

Ha suonato in una band dal nome Guerrilla farming,  livornese, di ispirazioneReggae, con la quale, nel 2009, ha potuto creare il suo primo lavoro Naturale con la One step records.

Con il regista Stefano Nicoli, ha scritto colonne sonore e interventi musicali per diversi cortometraggi,  come Lucca the north-west corner of Tuscany.

 La sua discografia:

Ritagli di tempo – 2012 – Pinolaupitu Production
Lo chiamavano Parafango – 2015 – Pinolaupitu Production

Preziose informazioni sui suoi gustosi concerti potrete trovarle su

http://www.stefanonottoli.com/

Premio Magnino - 2015
Premio Magnino – 2015

Chiara: ascoltando questo tuo secondo album “Lo chiamavano Parafango” viene naturale pensare al teatro canzone, si può?

Stefano: Gaber l’ho conosciuto di più con il tempo, ho sempre avuto il fascino del teatro e questa volta ho voluto unire le due cose: c’è una parte recitata e una cantata. Ho un maestro di canto che lavora molto anche con gli attori.

Ho sempre suonato il pianoforte ma poi, a partire dal 2010 ho avuto tanta voglia di cantare e ho iniziato a farlo. Mi sono trovato davanti ad un bivio, ho capito che la strade davanti a me erano due: “o smetto di suonare o inizio a cantare”, mi son detto. Ho ripensato a che cosa mi piacesse davvero fare fin da bambino e l’ho fatto, così ho iniziato a cantare e mi sono reso conto che è ciò che voglio.

Ho avuto anche la fortuna di incontrare un maestro di canto con cui lavorare in modo nuovo. Non si tratta di esercitarsi direttamente sulla voce ma di preparare il corpo e la mente alla voce.  Creare le condizioni psicofisiche affinché la voce possa esprimersi al meglio. Così, dopo circa due anni, i benefici che questo lavoro mi stava dando sono diventati tangibili.

Si tratta del “Metodo Funzionale” che si avvale anche di momenti di meditazione e visualizzazione.

Chiara: sono entrata nel tuo sito ed è come entrare a teatro.

Stefano: il sito è curato dal mio batterista, è in realtà molto semplice, come la copertina di “Lo chiamavano Parafango”, che è curata sempre dalla stessa persona. Sono molto contento del risultato.

La teatralità, sì, mi appartiene…Una sera, suonando in un locale di amici, a Lucca, mi è stato detto di somigliare a Manolo Strimpelli, artista lucchese che ha lavorato anche con Capossela. Un grande complimento.

Mi piacerebbe lavorare in un teatro.

Posso dire di essere piuttosto egocentrico, passo da serate dove preferirei soltanto essere ascoltato a altre dove, al contrario, amo fare “caciara” divertendomi a coinvolgere il pubblico in tutti i modi.

Apro una parentesi riguardo al Lucca Summer Festival che, a volte, è molto criticato dalla maggior parte degli artisti lucchesi. Perché invece di limitarsi a criticare cosa non va, non iniziare a fare un Festival degli artisti lucchesi che possa avviarsi e poter, poi, camminare da solo? Se funzionerà, allora sì, in quel caso potremmo pensare anche a future collaborazioni con gli eventi più affermati come il Summer.

E’ importante fare qualcosa di concreto da offrire, qualcosa che funzioni e che possa essere una risorsa vera e non solo una “passerella” stile “next please”, dove ognuno ha solo 5 minuti per poi doversi sbrigare a lasciare spazio ad altri.

L’alternativa alla critica inutile è partire con progetti concreti… proposte diverse che mostrino di funzionare. Risorsa per la città e per il futuro. Qualcosa che possa crescere grazie al riscontro del pubblico. Se non c’è questo step iniziale da parte degli artisti, è difficile realizzare qualcosa visto che, come si sa, nessuno ti viene a cercare.

Premio Magnino - 2015
Premio Magnino – 2015

C: fare rete è fondamentale.

S: sì ci sono molti esempi… anche nella musica, pensiamo a Gazzè Silvestri e Fabi. Hanno in comune gli esordi della loro carriera a Roma, poi si sono dedicati ognuno ai propri percorsi per poi trovarsi di nuovo insieme.  Suonare con qualcuno con cui condividi un percorso comune e la stessa voglia di creare può essere una valida risorsa per crescere artisticamente. Una risorsa che dà qualcosa in più e di complementare allo studio tradizionale.

Chiara: per te è stato così?

Stefano: mi capitava quando suonavo nelle jam session. Tornavo a casa davvero arricchito. Erano serate dove ognuno di noi aveva la sua visione della musica da regalare agli altri, interpretazioni inedite di pezzi noti… vivere questo tipo di esperienza era un po’ come aver seguito dieci lezioni tutte insieme.

Lo studio è importante, il lavoro autonomo individuale pure, ma il confronto è fondamentale, ti metti in discussione, ti esponi e puoi attingere a risorse nuove.

Chiara: come sei entrato nel mondo della musica?

Stefano: credo di esserci sempre stato. Mio nonno suonava nella banda paesana, mio fratello aveva amici musicisti così  ho potuto sentire il richiamo di questo mondo e la forte voglia di viverlo in prima persona. Avevo una chitarrina e potevo divertirmi tanto provando a suonarla. Andavo a vedere la banda paesana dove si esibiva mio nonno e poi, una volta a casa, eccomi lì a marciare intorno al tavolo della cucina con i coperchietti delle pentole.

Negli anni ‘80 i primi video di Videomusic: mi avevano stregato, improvvisavo esecuzioni, allestivo “palchi” e immaginavo concerti di diecimila persone nella campagna dei dintorni. I giochi in tema di musica erano per me i preferiti e occupavano le mie giornate di bambino. Mio fratello mi aveva insegnato a suonare il flauto prima che andassi a scuola e quando arrivai in classe mi trovai avvantaggiato.

Festa del Vino - Montecarlo, Lucca - 2015
Festa del Vino – Montecarlo, Lucca – 2015

Su consiglio del mio professore di musica iniziai a prendere lezioni. Volevo fare il chitarrista ma nel mio piccolo paese,  Santa Maria a Colle, non c’era moltissima scelta… Per fortuna abitava lì vicino una maestra di pianoforte. Per praticità scelsi di imparare a suonare il piano ma con il progetto, in seguito, di realizzare il sogno della chitarra.

In realtà mi sono innamorato del piano e tuttora vi sono artisticamente molto legato.

Fin dall’adolescenza scrivo canzoni, avevo raccolto tanti testi, poi, il fiume vicino a casa mia esondò nel Natale 2009 e distrusse tutte quelle mie creazioni.

Ne sono ancora così dispiaciuto. Anche se molte di quelle canzoni ormai non sarebbero state forse  più proponibili erano comunque parti della mia storia, ricordi unici, irripetibili.

Ne ricordo in particolare ancora una: alle medie, nella lezione di italiano qualcuno lesse “a Silvia” uno dei capolavori di Giacomo Leopardi.  Io ne fui così colpito che appena arrivai a casa scrissi una canzone su quella poesia.

Non mi ricordo più le parole ma ho memoria soltanto che era scritta in rosso e sono sicuro che oggi avrei potuto riproporla. Purtroppo, nel 2009 non c’era l’abitudine di salvare tutto sul pc.

Chiara: scrivere testi non è come scrivere un diario o un racconto, si tratta di una competenza particolare.

Stefano: sì, è così, a volte vengono proposti corsi che promettono di insegnare a scrivere canzoni. Io non ne sono mai stato attratto, non certo per presunzione, bensì per paura di restare legato a degli schemi, temo di diventare troppo tecnico.

Il senso artistico non ha molto a che vedere con la tecnica.

I cantastorie, come nel passato, non sono persone di studio, ma hanno avuto la capacità di strutturare una loro naturale pratica, legata a un ritmo tutto personale. Amo sperimentare, seguire una mia evoluzione naturale.

Chiara: questa passione per la musica è naturale, nasce con noi o prende forma dalle nostre esperienze prima di bambini poi di uomini? Per te la prima ipotesi sembra più vera.

Stefano: ognuno può parlare per sé. Nel mio caso, sì, questa passione assume i connotati di un bisogno fisiologico… impellente come altri più prosaici!

Qualcosa che mi contraddistingue da sempre.

Un bisogno che scaturisce in modo naturale, non lo si può forzare, si costruisce a poco a poco, ha i suoi tempi.

Un albero che cresce segue il suo ritmo, le sue stagioni, se lo si vuole forzare non ne scaturisce niente o al massimo qualcosa di artificiale. Per me la musica è un bisogno più o meno forte a seconda dei momenti. Sono impulsivo e irruento penso una cosa e la vorrei fare subito  ma paradossalmente, in questo caso no.

Stefano Nottoli a Radioradicchio-  2015
Stefano Nottoli a Radioradicchio- 2015

Sono contento quando mi accorgo di aver creato qualcosa che non sta in una dimensione del tutto razionale. Quando chi mi ascolta apprezza quello che faccio perché è capace di evocare qualcosa che non si riesce neanche a spiegare. Pezzi che  “arrivano” e piacciono…un bambino che balla sulle mie canzoni, per me, è una vittoria! Significa che si è arrivati a una dimensione che non è razionale! Mio figlio di tre anni che vuole ascoltare “Il gatto Jack” ottomila volte mi fa contento perché vuol dire che sente in quella canzone qualcosa che va oltre le parole e la storia, qualcosa di magico. Tutti i bambini sanno coglierlo molto bene. Invece nei “talent” tutto è molto studiato. Con tutto il rispetto per i diversi percorsi che ognuno di noi può compiere, spesso, i “talent” sono un po’ fuorvianti, danno una visione molto lontana dalla realtà della musica e del lavoro artistico. Senza contare che tanti cantanti che vi partecipano rischiano di essere poi ricordati dal grande pubblico, per il resto della loro vita, solo perché sono arrivato secondi a “X Factor” e non per un loro particolare talento o per la specificità del loro stile.

Chiara: oggi ci si può avvicinare alla musica per tante ragioni: grazie a un maestro, a un amico, a internet o chissà.  Da cosa partiresti per insegnare la musica a un bambino?

Stefano: c’è un film che mi ha colpito molto, “Ray”, ispirato a Ray Charles e alla sua storia incredibile. All’inizio del film lui è già cieco e conosce un signore che sa suonare il piano. Quest’uomo coinvolge Ray bambino chiedendogli di suonare come fosse un parlare, proprio come si fa con la lingua parlata dove ad un suono si risponde con un altro suono. Questo è il modo in cui ha imparato Ray Charles. Credo che sia così con la musica.  Un linguaggio come quello delle parole: nella nostra vita seguiamo questo metodo, si parla subito senza prima aver imparato la grammatica, così credo sia meglio imparare a suonare, prima possibile, prima della teoria. Questo si afferma anche con la cosiddetta Audiation del Metodo Gordon che fa parte nella Music Learning Theory.

Mio figlio Riccardo e io a volte facciamo come in quel film.

Il pianoforte, a casa, è sempre aperto. Mi siedo davanti al piano e poso Riccardo sulle ginocchia, poi, inizio a suonare e lui batte le risposte ai miei “discorsi” musicali.  Si parla,  si comunica tra padre e figlio in un mondo di note. Nel futuro forse potrà scegliere di studiare musica in modo più sistematico o forse farà il calciatore. (ride)

Chiara: mentre parliamo la nostra voce comunica con il suo ritmo e la sua intonazione e non solo con le parole.

Stefano: certi dialetti hanno una musicalità più pronunciata di altri.

In passato tutti cantavano molto di più, oggi è diventata un’attività solo degli artisti.  Io non ho sempre cantato. Lo facevo in un gruppo dai 16 ai 18 anni poi ho smesso per un problema di salute e non ho più cantato fino al mio primo disco: avevo deciso di suonare e basta. Ero molto meno intonato di adesso.  Ho lavorato molto in questo senso e con tanta fatica posso dire di aver recuperato. Ho ancora molte “finezze” da acquisire e molto orecchio da raffinare ulteriormente, ma un certo miglioramento rispetto al passato, con tanta fatica e lungo lavoro sull’intonazione, c’è stato.

Chiara: ci sono state persone che hanno influito più di altre sulla tua crescita e ispirazione musicale?

Stefano: ultimamente, il lavoro di Bobo Rondelli o Vinicio Capossela mi ha certamente ispirato moltissimo. Sono molti, per me, gli ispiratori, tanti quante sono state le fasi del mio percorso.

Ho ascoltato tanta musica.

Un tempo, tanti anni fa, verso i miei vent’anni, ci sono stati i Subsonica e con la mia band facevamo la loro musica. Di certo, da quando ho deciso di cantare come solista,  Capossela mi ha ispirato molto.

Chiara: questa tua trasformazione nel tempo è evidente anche dai tuoi due album. Si può riscontrare molta differenza di stile tra il primo e il secondo.

Stefano: il mio primo lavoro “Ritagli di tempo” nasce dalla voglia di rompere con il passato, da una ispirazione ad un sound molto acustico, ci sono fisarmoniche e violini. Si possono riconoscere tracce del lavoro di Mannarino che apprezzo particolarmente per la sua scrittura dei testi e influenze di Capossela.

Il secondo album è nato da una voglia di rock che doveva essere un recupero di esperienze e passioni passate. Così, in “Lo chiamavano Parafango”, si sono potute sviluppare sonorità che richiamano i Doors ma anche ritmi raggae forse più nascosti, ci sono chitarre elettriche e organetti. La canzone “Sotto le lenzuola” inizia con un levare che può essere ricondotto al reggae e finisce con risonanze acustiche che riportano la memoria ai Doors.

E’ stato molto liberatorio, una volta raccolto il passato si è più liberi per il futuro.

Chiara: per quanto riguarda la canzone “Una giornata ordinaria”, c’è una bellissima voce femminile che interrompe molto l’andamento complessivo dell’album.

Stefano: si tratta di Elisabetta Maulo dei Betta Blues Society.  Canta la canzone creando un’ atmosfera molto diversa rispetto a quelle precedenti. Mi sono chiesto, a volte, se sia stata la scelta più giusta ma era ciò che sentivamo in quel momento sotto la spinta di diversi stimoli. L’album, già dal titolo, “Ritagli di tempo” svela la sua natura: nasce da pezzi nati in momenti diversi e sotto l’impulso di differenti suggestioni artistiche.

Per esempio “Paris” prende forma da incontri curiosi avvenuti durante un soggiorno parigino in casa di amici.

Chiara: vari incontri. Ma Leo esiste? I paesini intorno a Lucca sono popolati da personaggi che potrebbero nascondere storie come la sua.

Stefano: Leo è il personaggio protagonista, colui che tutti chiamano Parafango. Sono cresciuto vicino al manicomio di Maggiano. Lucca, la provincia, e tanti altri luoghi, nascondono personaggi simili. Ne ho visti svariati. Leo nasce un po’ da tutti quei personaggi a limite del surreale che possiamo incontrare in certi luoghi.

La storia di Leo nasce in un periodo in cui stavo scrivendo molto e raccontavo storie. Mi chiesero di scrivere un pezzo sulla bicicletta perché in quel momento passava il campionato europeo di ciclismo da Lucca. C’erano vari progetti in programma per farne un cd.

Tuttavia il pezzo restò lì per un bel po’ di tempo e non venne utilizzato per quello scopo. Continuai a scrivere altre storie, tutte parlavano di un personaggio e poi c’era “Che vuoi che sia”, dove descrivo la mia idea della morte. Ho creduto di poter raccogliere queste storie come fossero episodi diversi della vita di un unico personaggio e “Che vuoi che sia” come conclusione. Così ho fatto ed è nato l’album.

Leo esiste e non esiste: una volta, a cena, mio padre e mio nonno raccontavano storie dei loro tempi e proprio a quelle si riferisce “Alcolemico amore”: un loro vecchio amico dal fisico non troppo ordinario e le sue galanti avventure.

Chiara: avventure finché Leo non s’imbatte nel vero amore. Ecco Brunilde.

Stefano: mi sono ispirato al film Django Unchained di Tarantino. Brunilde è un pezzo che nasce da lì. Parla del protagonista del film, “sembra follia ma c’è magia”, è quella storia fino all’esplosione finale dove Django libera la sua compagna Broomhilda.

Chiara: la cultura musicale per un bambino che cresce in cosa può consistere?

Stefano: dobbiamo definire il campo: quale musica e quale bambino, in che contesto?

In termini generali, la musica è necessaria fin dalla gestazione, sempre più studi lo dimostrano. In seguito è meglio imparare a conoscere più musica possibile, avere più stimoli così da permettere ai bambini di scegliere, in seguito, su quali generi focalizzarsi.

La musica educa e di certo ce ne vorrebbe di più.

Gli stimoli da fornire, già a partire dalla scuola, più sono e meglio è.

Non possono essere limitati al “flautino”, come troppo spesso accade.

Credo soprattutto che sia necessaria una maggiore educazione all’ascolto, non è il problema di trovare una scuola di musica o di imparare a studiare uno strumento: le scuole di musica sono tante e non ci sono difficoltà in questo senso. Manca una educazione all’ascolto. Indispensabile come persone, come futuri ascoltatori e come musicisti.

Ho avuto la fortuna di ascoltare molta musica grazie a mio fratello che indirettamente, senza saperlo, ha influito moltissimo sulla mia formazione musicale, aveva 5 anni più di me e anche solo giocando, mi ha, involontariamente, ispirato e introdotto alla musica.

Stefano Nottoli - 2015
Stefano Nottoli – 2015

Chiara: quando scrivi un testo che fai?

Stefano: non ho uno schema ben preciso, ho paura degli schemi, non voglio sentirmi legato.

Arrivano generalmente insieme, testo e musica, ma, a volte, invece, no,  per esempio,  “Tango del mattino” nasce prima per la musica poi come  testo.

Quella canzone si riferisce alla storia dei nonni della mia compagna: lui di famiglia di modeste origini aveva potuto trovare scampo dalla guerra suonando in una agiata famiglia.

La sua amata, invece era ricca e nobile. Una storia osteggiata, di cui ritraggo una scena:  una passeggiata romantica che rappresenta la loro rivincita davanti a tutti coloro che li hanno derisi e non credevano nella forza del loro sentimento. Ultimamente scrivo molto buttando giù i testi e poi musicandoli dopo: questo sistema mi  fa sentire più libero.

Intervista: ANDREA MALGERI “Selvatico Lapis”

La nostra prima intervista del 2015 è all’artista Andrea Malgeri, fumettista e disegnatore naturalista. 

copertina  (R)evolution 2
copertina
(R)evolution 2

Andrea, nasce a Torino circa 27 anni fa, e dopo aver frequentato il Liceo Artistico si iscrive alla Scuola Internazionale di Comics.
Il suo impegno etico oltre al valore artistico ne fanno un autore unico nel suo genere e il suo messaggio merita di essere raccolto da quante più persone possibile.
Per me, data la stima che nutro  verso il suo lavoro, avere il piacere di presentarvelo, è davvero un grande regalo di inizio anno.
Oggi, il fumetto, ancora troppo spesso, stenta a essere riconosciuto in tutta la sua importante valenza educativa.
Lunga è stata la strada (ed ancora non è conclusa) affinché il fumetto venga considerato educativo e adatto per la formazione infantile.

Una tavola di (R)evolution 1 La nascita di Marcus
Una tavola di (R)evolution 1 La nascita di Marcus

Di certo non può essere valutato attraverso gli stessi canoni della letteratura per l’infanzia perché ha caratteristiche specifiche tutte sue che uniscono più codici comunicativi che si integrano interagendo: testo e disegno, il tutto inserito in una partitura narrativa che deve rispettare un certo specifico ritmo.
Il fumetto è in grado di risvegliare la fantasia e la motivazione alla lettura di individui poco motivati aprendo la strada anche ad altri generi ed altre letture. E’ un genere accattivante e attraente.
A volte è proprio il fumetto che apre il soggetto verso la lettura risvegliando in lui la fascinazione verso il mondo narrativo.

 Sono lieta di presentarvi Andrea Malgeri:

Oasi dei Cavalli
Oasi dei Cavalli

Chiara – Ciao Andrea, che rapporto avevi da piccolo con il disegno?
Andrea – Si può dire che sono nato con la matita in mano! In effetti disegno da quando ho ricordi, è una passione innata che mi tiene compagnia da sempre, e quand’ero un bimbo erano frequenti i momenti in cui mi immergevo nel mio mondo di carta e matite colorate. Fin d’allora la mia predilezione era per il fumetto, volli imparare a leggerli a 4 anni perchè non mi accontentavo più di guardare solo le figure! E così a mia volta volevo emulare quei fumetti che leggevo, e così creavo le mie storie, preferibilmente lunghe, e incomprensibili a chiunque altro le leggesse…Negli anni successivi mi sono impegnato per rendere le mie storie sempre più comprensibili, e soprattutto…didattiche!

Copertina Mamma Vega
Copertina Mamma Vega

Chiara – Infatti c’è un messaggio molto chiaro nei tuoi fumetti…
Andrea – Sì, da diversi anni a questa parte, da quando ho iniziato il percorso dell’autoproduzione, le storie a fumetti che pubblico sono il mezzo grazie al quale metto la mia passione al servizio dei miei ideali. Il messaggio è di tipo etico ed è molto chiaro, si parla di liberazione animale, e di conseguenza di liberazione umana, di un mondo più giusto; il mio intento è di arrivare ai più giovani, e questa è anche la sfida più grande: il linguaggio del fumetto mi aiuta, ma ad ogni nuovo lavoro è come se aggiustassi il tiro, alla ricerca della maniera migliore per rivolgermi ai ragazzi. Per esempio i primi lavori pubblicati (nella serie (R)Evolution), sono le storie romanzate di animali che vivono disavventure a causa di umani senza scrupoli; sono racconti ricchi di sentimento e azione, non mancano momenti un po’ più leggeri, ma in generale sono una lettura abbastanza impegnata. Nell’ultimo lavoro pubblicato (la serie Mamma Vega), invece, mi sono mantenuto su un tono più ironico e leggero: è un “rocambolesco ricettario vegan a fumetti”, dove le tristi storie degli animali compaiono ma sono stemperate dal resto della storia che narra di una cuoca ninja rock-star con super poteri che cucina fra una piroetta e un incantesimo (mi sono ispirato a mia madre, che tra l’altro è anche l’autrice delle ricette all’interno del fumetto!)

Una tavola di "Mamma Vega"
Una tavola di “Mamma Vega”

Chiara –  Qual è oggi il rapporto tra bambini e fumetti?
Andrea – Parlando del nostro Paese, le proposte di fumetti per bambini non sono tantissime; l’Italia ha una grande tradizione del fumetto, intesa però per lo più come fumetto seriale da edicola, e, in ogni caso il fumetto viene considerato ancora troppo spesso come un’arte di serie B… Il che per me è assurdo, data la grande considerazione che ho di questo mezzo, in grado di unire disegno e narrativa in una cosa sola.

 Copertina Mamma Vega
Copertina Mamma Vega

Diversa è la situazione in Francia, per esempio, dove c’è tutta un’altra cultura del fumetto, più da libreria che da edicola, loro sfornano decine e decine di nuovi titoli ogni mese e naturalmente anche il settore per l’infanzia è parecchio nutrito. Poi va da sé, se un genitore ha il ricordo di una bella esperienza nell’esser stato cresciuto a fumetti, vorrà far in modo che sia così anche per i propri figli.

Copertina di (R)evolution 1
Copertina di (R)evolution 1

Chiara – In che maniera diffondi i tuoi fumetti?
Andrea – I fumetti da me pubblicati fino ad ora sono autoproduzioni, il che vuol dire che non ho un editore a sostenermi e mi occupo anche della distribuzione: partecipo a fiere, festival, faccio presentazioni, e poi con alcune associazioni animaliste sparse per il territorio nazionale ci diamo una mano a vicenda: loro distribuiscono a loro volta i miei fumetti tramite i loro canali, e io lascio loro buona parte degli introiti. Inoltre ho creato un blog: ecofumetti.wordpress.com dove si possono trovare le varie pubblicazioni ordinabili via mail, più altri lavori e illustrazioni inedite da visionare.

Oasi dei Cavalli 2
Oasi dei Cavalli 2
Chiara – A chi sono rivolti i tuoi fumetti?
Andrea – Non avevo in mente un’età precisa quando li ho scritti, ho lasciato che le storie fluissero da sé, ma mi rendo conto che il pubblico in grado di apprezzarli meglio sono i più grandicelli, diciamo dalle scuole medie in su. D’altro canto le scene che potrebbero “turbare” i più piccoli non sono poi così forti, paragonate a tante scene cruente di certe fiabe classiche…Forse nei miei racconti colpiscono di più anche perché qua i cattivi siamo “noi” esseri umani, al contrario delle fiabe dove il carnefice è quasi sempre il lupo.
Copertina Mamma Vega
Copertina Mamma Vega